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Al di là (non sopporto l’espressione, ma in fondo la Battistini scrive bene: gliela passo) della critica al tessuto ideologico, mai così stupida, mi trovo concorde invece con il giudizio estetico. Considerato anche l’entusiasmo con il quale facevo il mio ingresso in sala, per me è stata una mezza delusione: mai mi era capitato che un film visivamente così splendido, con una gestazione così dolce, praticamente perfetta, poi all’esito finale (montato, doppiato, voice-overato) finisse con il risultarmi tanto sgraziato, aritmico, incoeso.
Molti citano Kubrick – che non c’entra un cazzo -, la Battistini soltanto, mi pare, Lynch – suvvia -; io avrei detto l’Herzog del blue yonder, o più semplicemente una sorta di Malick in fast forward, con l’indice stretto attorno al grilletto, pronto a spararti tutta la sua pappardella sull’inizio del cosmo e i dinosauri sul dito con cui stai occludendo la volata del fucile.
Un velociraptor mezzo stravolto. Rapace? No, non divora neppure la preda che calpesta.

Per me, l’anno potrebbe anche chiudersi qui.

A Milano, per la lista Bonino-Pannella Marco Cappato (primo) raccoglie 1.866 preferenze, Emma Bonino (seconda) 835, M. Giacinto Pannella (dodicesimo) 58.
Si potrebbe cominciare a parlare di successione, e invece.

Avvicinandosi al cliente di Aïeul, [il grassone] cominciò a blaterare qualcosa in inglese, quando era ancora a venti metri di distanza. A proposito di una donna, di un consolato. Il cameriere [, Aïeul,] si strinse nelle spalle. Aveva imparato da molti anni che nelle conversazioni degli inglesi c’era ben poco di cui essere curiosi. Però persisteva nella sua cattiva abitudine.
Cominciò a cadere qualche goccia d’acqua, poco più di una pioggerellina. «Hat fingan,», tuonò quello grasso «hat fingan kahwa bisukkar, ya weled.» I due sedevano uno di fronte all’altro, entrambi col volto scottato dal sole e infiammato di collera, guardandosi in cagnesco.
Merde” pensò Aïeul. Andò al tavolo: «M’sieu?».
«Ah!» disse il grassone, sorridendo. «Un caffè. Un café, capito?»
Quando tornò col caffè, i due stavano conversando languidamente: parlavano di un grandioso ricevimento che si sarebbe tenuto quella sera al consolato. Di quale consolato si trattava? L’unica cosa che Aïeul riuscì a capire furono dei nomi di persona. Victoria Wren. Sir Alastair Wren (il padre? il marito?). Un certo Bongo-Shaftsbury. Che nomi ridicoli produceva quel Paese! Aïeul servì il caffè e ritornò al suo posto.
Il grassone avrebbe voluto sedurre la ragazza, Victoria Wren, un’altra turista che viaggiava col padre, turista anche lui. Era però ostacolato dall’amante di lei, Bongo-Shaftsbury. Il vecchio in tweed[, l’altro al tavolo,] faceva da maquereau. I due che Aïeul aveva davanti erano degli anarchici, i quali stavano complottando di assassinare sir Alastair Wren, un potente membro del parlamento inglese. La moglie del pari – Victoria – nel frattempo era ricattata da Bongo-Shaftsbury, il quale sapeva delle sue segrete tendenze anarchiche. I due erano cantanti di music-hall, che cercavano di farsi scritturare per un grandioso vaudeville prodotto da Bongo-Shaftsbury, il quale era in città nel tentativo di ottenere dei fondi dallo sciocco sir Wren. Bongo-Shaftsbury contava di poterlo accostare grazie all’affascinante attrice Victoria, l’amante di Wren, la quale fingeva di essere sua moglie per soddisfare l’ossessione tutta inglese per la rispettabilità.

Thomas Pynchon, V., 1963

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